Il reparto Cormons 1° nasce il 6 luglio 1947, una domenica pomeriggio, con la promessa dei primi 17 ragazzi che hanno scelto la strada indicata da Baden Powell. Una giornata storica per lo scoutismo, una giornata storica per la vita della cittadina cormonese, di cui gli scout hanno fatto e fanno parte con un ruolo pregnante. Ieri come oggi. Alla vigilia di quell’avvenimento, forse, nessuno immaginava quanta buona strada doveva percorrere il Cormons 1° e quanta ancora ne deve fare. E’ stato un cammino lungo, talvolta faticoso, ma portato avanti con entusiasmo dai ragazzi, dai loro capi, dagli assistenti che si sono avvicendati in questi dodici lustri da don Rino, il fondatore, fino all’attuale parroco monsignor Paolo Nutarelli. Don Rino meriterebbe da solo un libro per la sua azione pastorale, prima come sacerdote e poi come vescovo, sempre vicino alla sua gente.

Don Rino Cocolin in realtà si chiamava don Pietro, ma si faceva chiamare don Rino e così continueremo a citarlo. Era giunto a Cormòns nell’autunno del 1944 come vicario Cooperatore pochi mesi dopo la sua ordinazione sacerdotale. Uomo della Bassa, era originario di Saciletto di Ruda, giunse a Cormòns in un periodo difficile. C’era la guerra, una barbarie che portava lutti e faceva fare la fame a molti. Finì la guerra, ma non gli odi tra la gente. Il confine era incerto, una forte caratterizzazione ideologica divideva la gente, il paese era amministrato come molti altri dal Governo militare alleato. Tempi difficili, tempi di miserie, ma c’era anche la ricerca di superare le barriere, di guardare avanti con la voglia di vivere. Fu questo che spinse don Rino, all’indomani della fine della guerra, a cercare nei giovani una voglia di riscatto, degli ideali da portare avanti per far avanzare il dialogo e superare le divisioni. Ed ecco la proposta, nata nell’ottobre del 1946, di dare vita al movimento scout. Lo scoutismo, già presente prima della guerra in altri centri della diocesi, stava rifiorendo e già a Gorizia erano nati i primi riparti.

Alla chiamata di don Rino risposero subito una sessantina di ragazzi. Dopo l’entusiasmo iniziale molti di questi ebbero difficoltà a seguire con scrupolo e costanza il cammino scout. Alla promessa l’anno successivo giunsero solamente in 17, divisi in due squadriglie, le Pantere e le Aquile: Pietro de Alimonda Mannentreu, Alberto de Alimonda Mannentreu, Franco Ludovico, Aldo Braida, Bruno Brandolin, Egone Burdin, Mario Camillo, Mario Ceschia, Luciano Leghissa, Giovanni Nicolicchia, Mario Pilotto, Vittorino Plet, Sarino Settepani, Fulvio Simonetti, Mario Scotti, Werther Toffoloni, Lucio Venturini.

Quella del 6 luglio fu una giornata memorabile anticipata da una “veglia d’armi”che si svolse la sera prima in Duomo. Gli scout partirono dal ricreatorio, in fila, con le divise nuove, fiamma e guidoni, percorsero la stretta e oscura via Pozzetto cantando “Tornano fra noi gli esploratori” ed entrarono in chiesa dal portone principale accompagnati all’altare dal suono dell’organo. “La nostra promessa era un impegno preciso – ricordò don Rino, nel 1977 in occasione del 30.mo anniversario di fondazione -: una volta scout sempre scout. Per molti di voi, ormai padri di famiglia, l’impegno è stato mantenuto e i vostri figli percorrono oggi la vostra strada. Il seme gettato allora ha portato abbondanti frutti”.

Quegli scout, che attraversavano le vie di Cormòns, suscitarono allora ammirazione, perplessità, curiosità. Quella notte, che precedette la promessa, gli scout la trascorsero nelle tende tirate su nel ricreatorio. Erano tende di fortuna, rattoppate qua e là, si dormì nella nuda terra, con il profumo dell’erba e il silenzio di una notte densa di riflessione.

E venne la domenica 6 luglio, le squadriglie schierate sul campo, presenti il commissario di zona Giovanni Marassi e gli scout giunti da Gorizia, i 17 ad uno ad uno formularono la promessa: “Con l’aiuto di Dio, prometto sul mio onore di fare del mio meglio per compiere il mio dovere verso Dio e verso la Partria, per aiutare gli altri in ogni circostanza, per osservare la legge scout”. Si avviò così l’avvio di una nuova esperienza che per tutti, sia per coloro che percorsero un breve tratto sia per altri che ancora vivono la vita scout, è stata memorabile e non priva di grandi significati. Una volta scout sempre scout.

E dopo la promessa, ecco il primo campo a Sappada raggiunto grazie ai camion forniti dagli americani. Lasciamo parlare don Rino: “Siamo partiti in pochi: due squadriglie. Le esperienze allora erano veramente garibaldine: povertà di mezzi, povertà di tende, ma al di là del Piave, quando voi scendete sulle rive del Mülbach, troverete ancora il posto dove il primo campo scout di Cormòns trovò luogo. E io, se posso, quel posto, lo vado a visitare tutti gli anni… E mi ricordo ancora quando in uscita siamo andati alle sorgenti del Piave, e qui abbiamo celebrato la messa, si capisce con il vino, ma quel po’ d’acqua che si prende l’abbiamo attinta dalle sorgenti del Piave. Ricordo aver lasciato agli scout, allora, durante la messa questo pensiero: ‘Sentite ragazzi, vedete come il Piave nasce qui da questa sorgente in mezzo all’erba come un rigagnolo d’acqua, mi sembra proprio il sorgere del nostro movimento scoutistico. Ma questo primo rigagnolo, poi, scende a valle e diventa un grande fiume, un immenso fiume con tanta acqua. Io mi auguro, e per questo preghiamo, che anche il movimento scoutistico cormonese che nasce da questo piccolo nucleo di due squadriglie possa con l’andare degli anni diventare un grande fiume, possa veramente affermarsi nella città di Cormòns’”.

E quel seme gettato allora – rubiamo le parole ancora a don Rino – quel piccolo zampillo che sorgeva in mezzo alle montagna, sotto il Peralba, tra quelle montagne, il Cormòns 1° è diventato una grande famiglia, una forza considerevole e ricca di speranza per la comunità cormonese.

I primi anni del movimento furono i più duri ed anche i più delicati anche perché il movimento scoutistico era poco noto e sconosciuto alla gran massa della gente. A Cormòns inoltre si viveva ancora la grande lacerazione provocata dalla guerra, che la risistemazione dei confini non aveva lenito. Certe ferite bruciavano ancora e quei ragazzi, impettiti nelle loro divise e ben inquadrati, a più di qualcuno ricordavano forse altre divise che si vedevano indossate dai giovani prima della guerra. Chi stava dall’altra parte e non era credente non colse subito che, assieme alla divisa, gli scout portavano il messaggio evangelico e una proposta educativa nuova, dirompente per quegli anni. Gli ideali, la costanza e l’esempio dei ragazzi che indossavano la divisa e il fazzolettone bianco e rosso ebbe la meglio e piano piano il movimento si allargò avvicinando molti ragazzi. Certo, figure carismatiche come don Rino o il genuino entusiasmo degli scout più grandi hanno avuto il loro peso e la loro importanza nel far crescere il movimento scoutistico. Ma, riflettendo, si scoprono negli scout motivazioni più profonde d incisive, non collegate soltanto alla realtà magari bellissima del momento; motivazioni che in qualche modo hanno lasciato un segno duraturo e spesso definitivo: esse sono l’esperienza religiosa e la spiritualità vissuta anche attraverso l’amore sincero per la natura e attraverso i sentimenti di fratellanza che lo scoutismo aiutava a scoprire con le piccole esperienze del servizio. Questa forza ha permesso al gruppo di saper uscire dai momenti difficili che tutte le associazioni incontrano nella loro vita.

E dopo Sappada vennero i campi di Valbruna, sotto la cerchia del Montasio e del Jof Fuart, quello di Castel Valdaier a quota 1300 ricordato come il campo del vento e del freddo seguito da quello di Auronzo con una memorabile marcia forzata di 68 chilometri verso Campo Tures. Il 1951 segnò l’addio di don Rino. Sotto una tenda in Val Marzon il 31 luglio firmò la domanda per diventare parroco di Terzo d’Aquileia, mentre fuori gli scout inscenarono una danza macabra pensando al distacco. Distacco che avvenne nel novembre, attorno al fuoco nel cortile del ricreatorio; fu un incontro di saluto che si concluse con il canto “ma non addio diciamo allor, un dì ci rivedremo”. Dopo sette anni di permanenza a Cormòns – non solo fondò gli scout ma fu fecondo animatore di altre realtà sociali dando vita anche all’Alba oltre a svolgere con grande carità il suo ministero pastorale – don Rino si accingeva a proseguire la sua attività pastorale che doveva portarlo 16 anni più tardi, nel 1967, a sedersi sulla cattedra dei santi Ilario e Taziano quale arcivescovo di Gorizia, erede del Patriarcato di Aquileia.

Lontano da Cormòns, don Rino fu sempre con il cuore vicino a Cormòns, ai suoi scout, alla gente cormonese, che non ha mai cessato di amare. “Quando, parroco di Terzo – raccontò un giorno – giungevo a Cormòns in moto, mi fermavo a Saldarini, guardavo il Quarin e mi veniva un groppo in gola”.

Don Rino ci lasciò improvvisamente la sera dell’11 gennaio 1982. Il suo grande e generoso cuore si fermò, lasciando dentro quanti, ed erano molti, che lo avevano conosciuto un grande vuoto ma anche una grande eredità che non va dispersa.

Il 25 gennaio, due settimane dopo la morte di don Rino, la comunità capi del gruppo Agesci Cormòns 1° decise all’unanimità che nei festeggiamenti del 35° anniversario della fondazione dello scoutismo a Cormòns venga modificata l’intitolazione del gruppo stesso. Pertanto il gruppo, che era fino al 1982 denominato “Stella polare” venne intitolato a “Mons. Rino Cocolin”, alla memoria di colui che è stato fondatore dello scoutismo a Cormòns e pastore della diocesi. Alla riunione del 25 gennaio 1982 della Co.Ca. parteciparono l’assistente don Ugo Bastiani, Aldo Braida, Luciano Cantarutti, Delfino Grattoni, Maurizio Plaino, Alessandro Feresin, Marisa Martelli, Giovanni Sodano, Nadia Riitano, Paolo Della Rovere, Claudio Dilena, Roberto Miani, Franco Coalutti, Alessandro Princic, Bruno Perissinotto, Lucio Maghet, Maria Cristina Maghet, Mario Scotti e Flavio Tami. Nel 2007 a Sappada in occasione della festa dei 60 anni del Cormons 1° proprio dove il Riparto fece il suo primo campo per voce dei Capi Gruppo Berini Chiara e Waldner Luca su proposta della Comunità Capi vengono intitolati la Comunità Capi ad Aldo Braida Capo Scout che ha dedicato la maggior parte della sua vita, da quel famoso pomeriggio del 1947 fino al giorno della sua salita in cielo allo scoutismo e il Branco della Letizia a Sandro Feresin che fu il primo Akela del Branco della Letizia.